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LA NARRAZIONE E LA CRESCITA PERSONALE

Di Giusy Inserillo


cuore su sfondo rosso

Abstract

 I racconti,

in quanto strumenti di insegnamento,

sono stati il principale mezzo

di educazione e socializzazione

di tutta la storia umana

(Michael Yapko – Psicologo)


Per far stare buono un bambino gli si racconta una favola. Per provocare emozioni si raccontano storie. Per far divertire si raccontano barzellette …

Da sempre il racconto ha caratterizzato la vita sociale degli individui. Attraverso i racconti l’uomo è evoluto traendo da essi le esperienze necessarie per superare gli ostacoli della vita raggiungendo la propria autodeterminazione.

Non sempre tale possibilità si verifica però spontaneamente.

A volte occorre uno stimolo, una guida, che accompagni l’individuo a trovare, dentro sé, la giusta strategia per raggiungere una pacifica e risolutiva soluzione al proprio disagio.

Il Counseling narrativo, attraverso specifiche tecniche gestaltiche, si pone come strumento facilitante il raggiungimento del benessere psicofisico del Cliente.

Tali tecniche spaziano dal Bibliodramma all’Immagine di prima infanzia, dallo Psicodramma alla Metafora, attraverso modalità che possono svolgersi sia individualmente ma anche  in gruppo, in quanto l’uomo, nel caso sia  spinto ad intraprendere un processo di crescita, è maggiormente stimolato se riunito con individui che aspirano, amano e credono negli stessi ideali e sono animati dagli stessi interessi.

Quindi se  il racconto favorisce l’introspezione, induce alla riflessione, stimola la crescita sociale, migliora le relazioni, se ne evince che vari possono essere i campi di applicazione a partire da quelli educativi.


“Narrare, ovvero l’arte di muovere emozioni”.


ballo

La scelta di approfondire tecniche di narrazione, nell’attività di Counseling, nasce in seguito all’osservazione di gruppi di bambini e adulti, ai quali mi rivolgo durante gli incontri di catechesi.  Ho constatato infatti che proponendo racconti, aneddoti, storie, l’attenzione dei partecipanti era particolarmente stimolata comportando profonde riflessioni, dibattiti e considerazioni di particolare sostanza.

I bambini, attraverso l’immaginazione fiorente, tipica della loro età, adattavano la situazione a episodi particolari della loro vita contestualizzandola e ricavandone spunti e suggerimenti.

Gli adulti rievocano episodi del passato, in un turbinio di emozioni e nostalgie, che portavano a dare un senso al loro presente.

Sempre e comunque elaborando concetti di positività.

Mi sono quindi interrogata su quanto la narrazione possa influenzare positivamente le coscienze e diventare un valido strumento di riflessione che, attraverso le tecniche proprie del counseling, conduca l’individuo a risolvere situazioni, anche conflittuali, nelle relazioni intra e inter personali..

Sappiamo che l’uomo per esistere, ha bisogno di relazioni e che è fondamentale per l’individuo essere parte di un gruppo.

Sappiamo anche che per appartenere a un gruppo l’uomo utilizza il linguaggio.

È noto, infatti, come approdando in un paese straniero il primo impulso sia quello di incontrarsi con connazionali.

Proprio per il bisogno di raccontare per raccontarsi, per essere parte sostanziale di un gruppo, per sentirsi vivi e partecipi.

Pensiamo allora a quanta importanza ha avuto nella società primitiva l’uso della narrazione. L’uomo, smesse le vesti di solitario cacciatore, comincia a riunirsi in gruppo, poi clan, sorgono i villaggi, poi le città. Possiamo quindi affermare che l’evoluzione dell’uomo è avvenuta, nel corso dei millenni, attraverso l’uso del linguaggio, che ha permesso la trasmissione di notizie, insegnamenti, valori, ideali necessari per la sopravvivenza e il successo nella vita.

Sostiene, infatti, Burns in “101 storie che guariscono” che l’uso delle storie ha una responsabilità importante nella comunicazione educativa in quanto, attraverso di esse, si influiscono le idee, le convinzioni, la moralità e i comportamenti di un’intera cultura. Generazione dopo generazione. Possono innescare moti di odio o di pace, così come trasmettere messaggi di armonia e rispetto.

Pertanto il racconto si pone come modello educativo e di conseguenza più le storie stimolano alla riflessione, maggiore sarà la capacità di dare un senso alla propria esistenza, superando blocchi e conflitti.

Poiché in ognuno di noi è insita la soluzione al problema e dal momento che le esperienze di vita ci equipaggiano per il futuro, una metafora ben costruita permetterà all’individuo di ricercare paragoni e affinità da utilizzare nella propria vita e permettere la soluzione di personali conflitti.

Che è quanto la Psicologia Umanistica dei primi anni del ‘900 ha affermato.

Riconoscendo all’uomo la capacità di intendere e apprendere, gli ha restituito il ruolo di artefice del proprio destino, contrapponendosi al senso di vittimismo tipico del pensiero medievale.

E se l’uomo è in grado di scegliere autonomamente cosa fare o non fare, va da sé che lo stimolo trasmesso attraverso un racconto, una storia, una notizia gli permette di ricercare soluzioni e strategie utili al raggiungimento del benessere, sia personale che collettivo.

Terapeuti illustri quali Rogers, Polster, Erikson, e altri, hanno compreso e dimostrato che, davanti a situazioni difficili, causa di blocchi psichici o anche fisici, è fondamentale aiutare l’individuo ad analizzarsi ricercando nell’intimo la risposta ai propri malesseri.

Comprendere il motivo per cui ora agiamo in un determinato modo o ricercare le cause che producono fobie e malumori, è quanto ogni bravo counselor si prefigge di realizzare.

Ecco perché ritengo che la narrazione abbia un ruolo fondamentale nella relazione d’aiuto.

Raccontarsi vuol dire fidarsi dell’altro, entrare in contatto (dal latino contactus, ovvero toccare) toccandone l’anima.

Raccontare per raggiungere il cuore e quindi entrare in relazione con l’altro. 

Non essere toccati da questo legame comporta solitudine e, quindi, sofferenza, poiché l’uomo è un “essere da contatto” ovvero da relazioni.

Le esperienze pandemiche dell’ultimo biennio ci hanno riportato, infatti, quanta sofferenza è emersa nell’uomo in seguito al forzato isolamento.

Nel corso della storia la voce narrante è stata sostituita dalla carta stampata, senza però sminuire l’importanza della voce narrante.

Consapevoli che è attraverso la voce che le emozioni si manifestano, dando senso e significato al racconto, la storia da raccontata diviene interpretata e rappresentata.

La rappresentazione teatrale ne è un elemento.

Lo sapeva bene Aristotele che parlava della “catarsi” dell’anima, intesa come la capacità di liberare emozioni attraverso la visione di scene teatrali.

Proprio questa considerazione indusse Jacob Levi Moreno, psicologo dei primi anni del 1900, ad applicare, come terapia di guarigione, la tecnica dello Psicodramma.

 

Psicodramma

Appassionato di teatro e recitazione, Moreno venne casualmente a conoscenza che una sua attrice – gli riferirono – quando interpretava ruoli di persona dolce, comprensiva, buona, a casa si trasformava in una iena…. E viceversa.

La qual cosa lo incuriosì a tal punto che intrattenne dei rapporti epistolari con Freud, del quale era stato allievo, al fine di analizzare la situazione e capire cosa accadeva nell’inconscio umano tale da far cambiare le persone.

Freud, in quel periodo, si stava dedicando al significato dei sogni e della sua incidenza dell’inconscio. Entrambi partivano dal concetto che, quanto più un’emozione è forte, tanto più si cerca di resettarla.

Sebbene entrambi comprendessero, e dimostrarono, che per risolvere conflitti e traumi trattenuti era fondamentale fare in modo che riemergessero, sciogliendo definitivamente la causa che l’aveva determinato, Freud ricorse all’ipnosi curando con la parola mentre Moreno predilesse l’azione scenica.

La tecnica dello Psicodramma consiste nel far recitare a un soggetto un’azione particolare della sua storia conseguente a un sogno, un episodio recente o dell’infanzia, una fantasia, nel tentativo di far emergere i conflitti inconsci che lo turbano.

Le sessioni possono essere singole oppure programmate per un certo numero di volte. In questo caso è però indispensabile che ogni sessione si concluda sempre e comunque con una sensazione di integrazione e benessere di tutti i partecipanti.

Si comincia con una prima fase detta di riscaldamento necessaria per far entrare nel vivo del tema e creare relazione tra i vari componenti il gruppo. Si passa in seguito all’azione determinata dal tema che si vuole portare in scena. Il conduttore (Counselor) inviterà quindi il protagonista a mettere in scena il tema presentato sul quale lavorare.

Il Terapeuta in questo modo assume il ruolo di un vero e proprio regista e, adottando varie tecniche che vanno dal doppiaggio al role-playing, dalla tecnica dello specchio all’inversione di ruolo e al soliloquio, condurrà i partecipanti al raggiungimento della catarsi, all’analisi interiore e quindi alla soluzione del problema.

Infine, un giro di commenti o feed-back, di tutti o di parte degli intervenuti, restituirà all’interessato il punto di vista che lo aiuterà a trovare il percorso di cambiamento, autostima e spontaneità creativa. Per un benessere globale.

Rubando una citazione di Matteo La Rovere possiamo definire lo Psicodramma come l’azione mediante la quale ci osserviamo dentro guardandoci da fuori.

Con lo Psicodramma il Cliente potrà osservare quanto rappresentato da un altro soggetto, che funge da attore, esaminando atteggiamenti e vissuti che gli erano sfuggiti e, attraverso questi, ricercherà situazioni differenti che possano risolvergli il disagio.


 

persona che esce dalle sabbie mobili

L’entusiasmo dei risultati raggiunti ha favorito l’applicazione dello Psicodramma in vari ambiti della vita sociale, rivolgendosi sia a bambini sia ad adulti, sia in ambito pubblico sia privato.

 

In ambito spirituale la tecnica prende il nome di Bibliodramma.

 

 

Bibliodramma

Partendo dal termine “dramma” (derivazione dal greco drama) che significa azione, associando il termine “biblio” ne consegue che il concetto fondamentale è: azione della Bibbia – ovvero della Parola, quindi della Parola di Dio.

Infatti, il messaggio biblico e l’azione dello Spirito sono il centro dell’esperienza del Bibliodramma che indica il mettersi in ascolto della presenza dello Spirito nel “qui ed ora”.

Il Bibliodramma è una metodologia attiva che favorisce l’incontro tra la Parola e la vita concreta di ogni persona. Essa affonda le sue radici nella modalità contemplativa di sant’Ignazio di Loyola il quale, durante gli esercizi spirituali, era solito soffermarsi sulla parola del brano meditato che più lo aveva colpito e, raccogliendosi in profonda riflessione, cercava di analizzare il testo per meglio comprendere.

La metodologia apparve calzante nella formazione di catechisti e consacrati tanto che, subito dopo il Concilio Vaticano II, intorno agli anni ’60, si sperimentarono le prime forme di Bibliodramma nei paesi di religione cattolica,  dapprima nel Nord-Europa e a seguire in Brasile, Stati Uniti e Asia.

Da un decennio circa anche in Italia tale metodologia si sta diffondendo attraverso la divulgazione dell’ABI (Associazione Italiana Bibliodramma).

La versatilità e la semplicità del metodo di azione, la propensione all’autenticità, la coerenza nella comunicazione della Parola, conferiscono al Bibliodramma uno spazio attivo, dove incrociare la comprensione del testo biblico alla condivisione di gruppo.

Proprio come nel Sociodramma, essa è caratterizzata da un gruppo di persone riunito, animato dagli stessi interessi e ideali di Fede per ascoltare, meditare, interiorizzare e approfondire la parola di Dio.

Rispetto a un tradizionale incontro catechetico/liturgico frontale, durante il quale qualcuno “insegna” e altri “imparano”, nell’attività del Bibliodramma la Parola, grazie all’aiuto di un Facilitatore, interagisce nella vita concreta di chi partecipa all’incontro, coinvolgendolo in modo esperienziale, mentale, cosciente, emotivamente e corporalmente, attraverso l’uso dei cinque sensi: olfatto, vista, tatto, udito, gusto.

Ogni partecipante, stimolato dal brano ascoltato e meditato, lo associa a esperienze personali, assimilandolo per poi condividere sentimenti e pensieri con gli altri componenti del gruppo.

Liberi di esprimersi, rispecchiandosi nei personaggi e nelle azioni incontrate, è più facile allargare l’orizzonte della Fede, liberandosi dagli stereotipi gessati della dottrina tradizionalistica, incontrando concretamente l’essenza del messaggio evangelico per una migliore consapevolezza e crescita personale e spirituale.

Indipendentemente dalle credenze, nessuno può esimersi dall’affermare la grande capacità di Gesù di penetrare nell’animo umano attraverso la sua didattica e l’uso di parabole. Quindi, se consideriamo che il Vangelo è prevalentemente una raccolta di storie raccontate per far comprendere, metaforicamente, il messaggio di pace, accoglienza, condivisione racchiusovi, va da sé che la metodologia del Bibliodramma, intesa come attività di assimilazione di un messaggio positivo, può ricondursi in una terapia di natura gestaltica in ambito spirituale.

 

Tanto lo Psicodramma quanto il Bibliodramma prendono spunto da varie discipline tipiche della Gestalt, quali l’analisi narrativa, la meditazione, le varie arti del teatro dell’improvvisazione, della danza, della musica, dell’arte, ecc.

Entrambe richiedono l’uso di un setting, di un facilitatore e di una platea di partecipanti. Hanno la caratteristica di poter essere ‘malleabili’, ossia di adattarsi ai partecipanti, al grado di coinvolgimento che si vuol attivare, alle diverse attività che si vogliono proporre, richiedendo la presenza di persone animate da interessi comuni.

 

Un’altra tecnica usata per soddisfare la relazione d’aiuto, e che si basa sempre sul racconto, è rappresentata dall’immagine di prima infanzia. Vediamo di cosa si tratta.


Metafora

Termine di derivazione greca che si traduce in “io trasporto”.In pratica si può definire metafora quell’immagine verbale che dà un senso emotivo alla storia, allorquando non è possibile utilizzare espressioni con significato letterale.

E poiché è una consuetudine per l’uomo esprimersi per metafora, egli userà immagini e termini differenti secondo la cultura di appartenenza.

Nelle società tribali saranno termini come lupo o roccia a essere particolarmente utilizzate, mentre in società a carattere tecnologico saranno prevalentemente utilizzati termini come sono connesso, blackout e altri.

Fautore dell’uso della metafora nella relazione d’aiuto fu Erikson, anch’egli psicologo e psicoterapeuta del ‘900, il quale affermava che ognuno di noi possiede nell’inconscio le risorse fondamentali per la guarigione di disagi interiori.

Egli l’aveva sperimentato di persona. Era, infatti, riuscito a superare la grave infermità causata dalla poliomelite, osservando la sua sorellina muovere i primi passi. Comprese in questo modo quanto l’uso della deambulazione, appreso faticosamente nei primi anni di vita, diventi poi un’azione spontanea e questa esperienza lo indusse ad asserire che la “conoscenza sta nell’inconscio!”.  

Proprio per questo motivo attuò lo SCM (stato di coscienza modificato) attraverso il quale induceva i pazienti a uno stato di semicoscienza (tipica del dormiveglia) convinto che in questa fase l’uomo è maggiormente predisposto all’introspezione, condizione favorevole per ricercare nel profondo risposte esaurienti al proprio bisogno.

Il Cliente, entrando in contatto con la parte più profonda della psiche, riesce ad analizzarsi e riflettere più consapevolmente trovando in sé risposte soddisfacenti ai propri quesiti. Risolvendo situazioni apparentemente irrisolvibili viene stimolata l’autostima e, con essa, la positività.

Concludendo mi sento quindi di affermare che l’uso della narrazione nella relazione d’aiuto è un valido strumento di crescita personale e di sviluppo in vari ambiti della vita sociale, lavorativa, spirituale e certamente educativa.

Caratterizzata dall’interattività, insegna, affascina, educa, aggira le resistenze, aiuta a riflettere, consapevoli che:

albero di cuori

 

 

 

Per stare bene con gli altri, prima,

bisogna stare bene con se stessi.

 

   

 


 

Bibliografia:

Alberto Dea – Rita Sommacal “Gruppi esperenziali a tema: ideazione, creazione, realizzazione”  – Supernova - 2012

Marshall B. Rosenberg “Le parole sono finestre (oppure muri): introduzione alla comunicazione nonviolenta” – Esserci edizioni – 2003 (seconda ristampa: dicembre 2018)

David Gordon ”Metafore terapeutiche: modelli e strategie per il cambiamento” – Astrolabio - 1992

W. Timothy Gallwey “Il gioco interiore nello stress: esprimi il tuo potenziale e vinci le sfide della vita” – Ultra - 2016

George W. Burns “101 storie che guariscono” – Erickson – 2006 (nona ristampa: giugno 2020)

Milton H. Erickson  “La mia voce ti accompagnerà” i racconti didattici di M. H. Erickson – a cura di Sidney Rosen – Casa  Editrice Astolabio - 1983

Erving Polster – “Ogni vita merita un romanzo” – Astrolabio - 1988

Noemi Monti “La metafora come strumento di cambiamento in psicoterapia” – articolo 143613, pubblicato il 21/2/2017 su State of Mind – il giornale delle scienze psicologiche

Mario Cardona, Moira De Iaco “Metafora, vita quotidiana e pandemia” – prima e seconda parte – rivista SeLM scuola e lingue moderne a cura di ANILS - 2021

Richiard R. Kopp “La metafora nel colloquio clinico –l’uso delle immagini mentali del cliente” – Erickson edizioni – 1998 (nona ristampa: febbraio 2018)

Edoardo Giusti – Assunta Ciotta “METAFORE nelle relazioni d’aiuto e nei settori formativi” – Collana di Edoardo Giusti – Sovera 2013

 

Giusy Inserillo

 

Giusy Inserillo

Diploma di Counselor ottenuto presso la Scuola Gestalt Institute di Mestre VE (ora PGP Academy di Punto Gestalt Pegasus Aps) con una tesi sull’arte della narrazione come strumento per superare conflitti e disagi. Ha svolto l’attività di istruttore amministrativo contabile nell’ambito della prima infanzia e da oltre venticinque anni pratica volontariato dedicando il tempo libero all’organizzazione di attività ricreative verso giovani e adulti.


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