di Martina Da Ponte
Abstract
Attraverso il racconto della sua storia, l''autrice dell'articolo affronta gli aspetti psicologici relativi al desiderio di avere un figlio e alle difficoltà di fronte all’infertilità.
“Avere figli non è la cosa più naturale del mondo, come invece si asserisce, ma solo una capacità posseduta da molte. “ Cosi riporta la Psicoterapeuta tedesca Ute Auhagen-Stephanos, che si occupa proprio degli aspetti psicologici legati al desiderio di avere un figlio e come la paura ne possa essere a volte un perfetto anticoncezionale.
Parlo d’infertilità perché è un argomento che riguarda tutta la società, donne, uomini, giovani, futuri genitori, medici e qualunque essere umano. Si tratta fondamentalmente di una difficoltà nel tramandare la nostra specie. E troppo spesso si tende a non parlarne, nonostante la grossa importanza, per vergogna o per la mancanza di informazioni adeguate sull’argomento.
Nell’immaginario collettivo la procreazione è considerata naturale, semplice, immediata, ma nella realtà è molto complessa e legata a molte variabili, alcune delle quali non sotto il nostro controllo. E proprio il fatto di non poter agire su tutte le variabili che, anche nelle situazioni favorevoli, la coppia ha solo il circa 20% di probabilità di vedere realizzato il suo desiderio di genitorialità.
In Italia 1 coppia su 5 ha difficoltà a procreare per vie naturali, le cause di infertilità riguardano il 40% le donne, il 40% gli uomini e il 20% la coppia.
Le motivazioni che spingono le coppie a desiderare un figlio sono molteplici; desiderio di completezza e continuità nel tempo, ideologie e modelli culturali, desiderio individuale. Inoltre la maternità è percepita come il momento più qualificante dell’identità femminile, muta e matura nel tempo determinando un grembo psichico, in altre parole un posto del futuro nascituro nella mente della coppia. Michel Soulè (1982) psicologo francese dice: il bambino immaginario, il figlio desiderato, è una fantasia radicata nell’uomo e nella donna fin dalla prima infanzia e per questo, prima di avere una consistenza fisica e reale, ha origine nel mondo rappresentazionale e psicologico.
Maternità e paternità procedono seguendo due percorsi paralleli che coinvolgono l’intero arco della vita e che scaturiscono da un complesso insieme di desideri inconsci, fantasie, motivazioni individuali e di coppia che s’intersecano a condizionamenti socioculturali e pressioni riguardanti l’istinto.
Con il termine maternalità s’intende le elaborazioni mentali della donna atte alla preparazione psicologica all’evento nascita, per paternalità i cambiamenti intrapsichici e sociali attraverso cui l’uomo si costruisce un’immagine di sé come padre e si sente mentalmente tale. L’uomo trova cosi una sua identità nel proteggere la coppia madre-bambino ed essere allo stesso tempo un elemento di separazione. In questa visione la gravidanza è vista come un evento in cui agli eventi fisici si accompagna un vero e proprio sconvolgimento psichico ed emotivo.
Nella genitorialità la paternalità e maternalità confluiscono. La maturità individuale permette di accettare e ricercare l’altro come fonte di arricchimento e di sviluppo in un rapporto di reciproco scambio, in cui la diversità è valorizzata. La coppia inizia a creare uno spazio per il figlio, pensato e desiderato. Di conseguenza il concepimento è un evento mentale duale che, nel momento in cui avviene, cambia il progetto di vita dei genitori e dà inizio all’esistenza psicologica del bambino.
E’ importante specificare che per la donna il desiderio di maternità e quello di gravidanza non hanno lo stesso significato, ma hanno degli elementi di diversità. Il desiderio di gravidanza è il bisogno della donna di provare che il proprio corpo funziona esattamente come quello materno, mentre il desiderio di maternità è l’investimento sul bambino e sulla possibilità di proteggerlo e prendersene cura.
Nell’uomo un figlio diventa un prolungamento di sé e della propria identità; il desiderio di paternità si connota di elementi affettivi e personali legati alla propria storia di vita passata e presente e compaiono anche nella mente dei futuri papà, fantasie e sogni del proprio “figlio ideale”.
Dagli anni 70 in poi, la diffusione di metodi contraccettivi più sicuri, ha portato la separazione tra sessualità e procreazione, facendo si che la donna si emancipasse, portando cosi a considerare la maternità non più come un destino ma come una decisione personale. Le donne hanno potuto cosi sviluppare le proprie abilità nel lavoro e carriera, essere indipendenti economicamente, prolungare gli studi e dedicarsi allo sviluppo dei propri talenti.
Tuttavia questo ha portato nella società odierna la credenza dell’autodeterminazione, in altre parole la convinzione che la nascita di un figlio avvenga se e quando si vuole; si ricerca la genitorialità quando si sono soddisfatte le proprie esigenze economiche e sociali con l’idea che la propria decisione sia una base sufficiente per procreare. La donna si è resa libera e ha posticipato la scelta di maternità a un’età più avanzata, quindi quando decide, consapevolmente, di essere pronta, purtroppo trova davanti l’ostacolo del cosiddetto orologio biologico, che non permette necessariamente una gravidanza immediata e senza ostacoli.
Quando il figlio non arriva e subentra una diagnosi d’infertilità o sterilità la donna si sente privata di qualcosa di fondamentale della sua vita; percepisce il suo corpo freddo, arido, soggetto ad una punizione per una colpa indefinibile.
Io mi sono proprio sentita cosi quando nel 2013 mi fu data la diagnosi d’infertilità per un basso numero di ovuli. La prima sensazione è stata d’incomprensione, non riuscivo a capire cosa mi era stato detto. Che cosa voleva dire pochi ovuli? Allora c’era qualcosa che non funzionava in me? Mi sono sentita malata, rotta, non funzionante e impaurita per quello che avrebbe comportato, giacché mi si prospettava solo un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Mi ricordo ancora in lacrime uscita dallo studio della dottoressa accompagnata da mio papà.
Molto probabilmente io e mio marito rientravamo in quella percentuale di coppie, circa il 15%, di cui le cause sono sconosciute, si trattava di una sterilità psicogena. In questa categoria si rientra nel momento in cui ci siano almeno due anni di rapporti non protetti e regolari senza gravidanze, anamnesi ed esami obiettivi negativi, ovulazione e test normali, esame liquido seminale nella norma e laparoscopia e isteroscopia negative.
Non rimaneva altro che pensare che oltre al basso numero di ovuli, una componente che ci giocava a sfavore potesse essere di natura psicologica, stress.
In letteratura non è verificata una diretta correlazione tra aspetti psicologici e infertilità, tuttavia l’esperienza clinica di chi sostiene le coppie con problemi di fertilità, evidenzia il ruolo fondamentale delle dinamiche psicologiche. Il disagio psicologico può essere sia causa sia conseguenza d’infertilità.
Da un punto di vista psicologico, l’infertilità può dipendere dal tipo di personalità, dal modo con cui rispondiamo allo stress, da un controllo eccessivo delle variabili, può riguardare prevalentemente persone troppo orientate all’obiettivo, può essere legato a fattori psico emozionali e a un blocco psicologico.
D’altro canto la condizione d’infertilità può causare disturbi psicosomatici e sessuali, ansia, depressione, sentimenti di vergogna e colpa, isolamento e ritiro sociale, bassa autostima. Si può percepire un lutto causato dall’assenza di gravidanza, ci si può sentire malati con una immagine di sé menomata, si percepisce un fallimento e una inadeguatezza rispetto alla società e si può soffrire della sindrome da desiderio di figli.
Il desiderio di avere un figlio e la difficoltà di ottenerlo mette in campo una quantità enorme di nodi affettivi, esistenziali e culturali, tutti di notevole impatto sulla coppia.
Quando ho capito che la strada per avere un figlio sarebbe stata più lunga e difficile di quello che pensavo, ho iniziato farmi delle domande. Che cosa avrei potuto fare prima per prevenire tutto ciò? E cosa potevo fare da li in poi per realizzare il mio desiderio? Era difficile accettare che alcune variabili non erano sotto il mio controllo e inoltre sentivo di non avere avuto le informazioni che mi servivano. Iniziavo a soffrirne veramente. Non mi ero resa conto che era una condizione molto diffusa nelle coppie, perché è un argomento di cui non se ne parla abbastanza. Talmente avevo dato per scontato che sarebbe arrivato un figlio quando l’avessimo desiderato che non avevo fatto i conti con l’età (all’epoca ne avevo 35), ma anche con il tipo di vita che avevo fatto fino a quel momento. Abbiamo iniziato a pensare a delle alternative, l’adozione non era contemplata, sentivamo come coppia che non era la strada giusta per noi. Da figlia di medico e d’insegnate di scienze e matematica, mi è sembrato naturale chiedere aiuto alla medicina e alla scienza, cosa in cui ho sempre creduto.
Io e mio marito decidemmo cosi di intraprendere un percorso per la procedura di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) presso l’ospedale di Pordenone. In realtà si rivelò un percorso che ci mise alla dura prova, soprattutto me. Il tipo di procedura scelta dall’equipe medica era di secondo livello ICSI, quella ritenuta più adatta al nostro caso e che avrebbe fatto incontrare direttamente ovulo e spermatozoo. Ma anche qui non mi ero resa conto di tutti gli ostacoli che avrei incontrato. Ciò testò la mia grande determinazione e forza di volontà; fare le punture, prendere i farmaci in giorni e orari precisi, alzarsi presto per gli esami del sangue, fare le visite ginecologiche e la paura del fallimento. Certo avevo la mia famiglia vicino e mio marito, ma a volte mi sentivo un po’ sola nell’affrontare tutto questo, non perché fossi sola, ma perché sentivo che volevo farcela io, per me stessa.
Nel maggio del 2014 facemmo la prima procedura di PMA e mi trovarono un ovulo solo, che si fecondò, ma che dopo due settimane, persi. Nonostante il dolore e la delusione ci riprovammo nel novembre dello stesso anno, cambiando leggermente il protocollo terapeutico, e sfidando pure l’influenza che avevo preso, riuscii a produrre ben dieci ovuli. Ero così felice, con tutti questi ovuli forse sarei riuscita pure a congelarne qualcuno. Mi ricordo ancora sul letto mentre mi stavo risvegliando che continuavo a ripetere come un mantra il numero dieci e piangevo di felicità. Anche l’equipe medica e la mia dottoressa erano felici del risultato. Tuttavia questo non fu sufficiente, perché non se ne fecondò nemmeno uno, erano tutti difettosi… come me.
Già due procedure fallite, due anni dedicati a questo obiettivo, risorse personali ed economiche investite, tante speranze e nulla. E ora? Forse era il caso di iniziare a pensare ad altro. Al lavoro, alla musica e noi due; per il momento basta, era meglio che iniziavo a pensare a una vita solo in due.
Inaspettatamente e con grande sorpresa il luglio 2015 rimasi incinta naturalmente. Com’era possibile? Allora c’era qualcosa che ancora funzionava, forse era ancora tutto possibile? Probabilmente tutti gli ormoni presi l’anno precedente e un po’ di relax al mare avevano fatto la magia. Ma nelle settimane successive c’era qualcosa che non andava e il 31 agosto abortii a otto settimane. Dolore, sofferenza, rabbia, senso di fallimento, angoscia, disperazione questo era quello che sentivo. Nel momento in cui mi dissero che il cuore non batteva più mi sentii catapultata in un'altra dimensione, come chiusa in una bolla, non sentivo neanche quello che mi stavano dicendo; ma forse era meglio, visto che l’unica cosa che dissero per rincuorarmi era che avrei dovuto saperlo che entro le otto settimane c’è un’alta probabilità di perdere il feto. Quel momento di dolore ci ha veramente messo alla prova e ci ha fatto comprendere quanto ci avrebbe unito in realtà. Ricordo la notte passata in ospedale, nonostante la situazione, avere accanto mio marito mi ha aiutato moltissimo, non faceva altro che farmi ridere e creare situazioni esilaranti. E’ stata una delle più belle prove d’amore che io abbia mai ricevuto.
Sentivo di aver bisogno di un aiuto psicologico, qualcosa che mi desse una mano ad affrontare anche l’idea che un figlio non sarebbe arrivato mai. Allora decisi di iscrivermi ad un master in Counseling e Coaching e questa scelta cambio letteralmente la mia vita personale e poi professionale.
Giacché durante l’estate il mio corpo aveva dato un qualche segnale di speranza, consigliandomi con la mia famiglia e la mia ginecologa, decisi di provare un’altra procedura di PMA, poiché probabilmente ci sarebbero state buone probabilità di successo. E senza far passare troppo tempo nel dicembre del 2015 feci un’altra ICSI.
Era finito tutto. La triste realtà era che non mi trovarono nemmeno un ovulo e davanti a ciò pensai che non potessi far altro che abbandonare l’idea di avere un figlio. La sensazione che provai, quando mi dissero che non c’era nessun ovulo era indescrivibile, mi sentii azzerata, quasi ridicola nell’aver sperato tanto per una cosa che non sarebbe successa mai. Nessuno in quel momento poteva consolarmi. Ricordo ancora il viso commosso della mia ginecologa mentre me lo diceva.
A questo punto era ora di pensare ad altro, lasciarsi alle spalle tutta questa storia e imparare a vivere comunque bene. Avevamo una bella vita piena di soddisfazioni e in futuro sarebbe stata altrettanto bella anche solo in due con le nostre cagnoline.
A chi la volevo dare a bere? Il tempo passava e sentivo comunque che mi mancava qualcosa. Il percorso di Counseling che stavo facendo portava alla luce tante informazioni su di me, e stavo iniziando a scoprire delle parti nuove, risorse, obiettivi ed emozioni. Pian piano iniziava a prendere forma un’altra Martina, una donna più indipendente.
Non avrei mai pensato che potesse accadere, ma nel luglio del 2017 rimasi incinta naturalmente, poco prima di partire per un viaggio in America di tre settimane e il 17 aprile 2018 alle ore 14.27, dopo un parto infernale, nacque il mio gioiello più prezioso, Rubina.
Che cosa fece accadere questo miracolo? Non ho la ricetta ma credo che gli ingredienti fondamentali siano stati la mia tenacia nel non mollare mai, affrontare le difficoltà vedendole come opportunità, mettermi in discussione acquisendo consapevolezza di me. Avere accanto la mia famiglia e mio marito che hanno sempre creduto in me anche quando volevo mollare è stato fondamentale. Quando non ci speravo più, c’era mio marito Manuel che ci credeva al posto mio. Sicuramente anche la medicina ha dato il suo contributo e sapere di potermi fidare della mia ginecologa la Dott.ssa Fuggetta è stato molto rassicurante.
Insomma ero pronta per essere mamma e Rubina non ha fatto altro che scegliermi e arrivare al momento giusto.
Bibliografia
“La coppia di fronte al Procreazione Medicalmente Assistita” Righetti, Galluzzi, Maggino, Baffoni, Azzena Ed. Francoangeli
Martina Da Ponte
Psicologa con Master in Counseling Gestaltico e Master in Coaching e PNL. Specializzata in Business e Career Coaching, comunicazione e utilizzo della voce, sviluppo dell’empowerment e del benessere psicologico. Docente Formatore e Consulente aziendale. Cantante e Vocal Coach, Vocal Counselor. Presidente di
Punto Gestalt Pegasus Aps e Direttrice di PGP Academy.
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